domenica 28 febbraio 2010

La strada

«Assassini!» urla il folle. «Cacchio già le otto!», invece erano ancora le sei.
Si era svegliato prima e aveva deciso di portarsi avanti con il lavoro. Tutte le mattine ci dava l’alzata, affacciandosi al balcone e benedicendo la comunità con il suo personale saluto, come un muezzin dal minareto della moschea di quartiere. Gli eravamo affezionati, perciò aveva conquistato il perdono di tutti. Lui.

La strada è una specie di paese, perché vissuta come un prolungamento dei cortili delle case. Già dalla mattina, lungo il marciapiede, è solito veder spuntare qualche sedia, cui se n’aggiungono altre durante il giorno, tanto che il marciapiede alla fine sembra una scacchiera.
I due punti di raggruppamento sono in chiara concorrenza tra loro. Si trattano con cortesia e rispetto ma in realtà sono due compagini che si dividono lo stesso terreno, pronte entrambe a fare fuoco al primo sgarro, al primo sguardo allusivo, alla prima parola equivoca. Nell’ambiente il malinteso era sempre in agguato.

Il forestiero che si trova a passare da quelle parti è scrutato con sospetto, studiato per capirne le intenzioni. L’altro giorno ho visto una donna suonare al citofono di fronte e il vicino uscire e fermarsi a chiacchierare con lei. Dopo una decina di minuti mi sono accorto che erano tutti fuori, appollaiati come condor con gli occhi puntati su di loro in attesa di sbranare la carcassa. La malcapitata, terminata la strada, deve aver avuto la sensazione di aver appena fatto una lastra, non immaginando che sarebbe stata argomento tra gli argomenti della prossima adunata.

Nei punti in cui si formano questi raduni spontanei, si celebra il sacro rito della condivisione, soprattutto quello dei cacchi altrui, ma c’è un momento che nessuno vorrebbe perdersi mai, soprattutto io: l’apparizione della vicina, una ragazza dell’est di circa 25 anni, che con questa calura d’agosto ogni giorno si dà appuntamento davanti al tubo di gomma. Una doccia in giardino in reggiseno e perizoma. Per lei è talmente naturale che se la canticchia pure. Io invece rimango per un quarto d’ora a pulire la stessa finestra. Mezz’ora dopo è sul balcone a stendere la biancheria e mi tocca pulire anche la finestra di fronte. Qualcuno, solo per questo, potrebbe pensare che io sia un buon partito da sposare.

Oggi il pensionato spazza il cortile davanti ai garage e raccoglie 14 viti piccole, 2 grandi, 16 rondelle, 4 chiodi, 6 bulloni e 3 graffette arrugginite; le mette in fila e urla nell’etere che potrebbero bucare una ruota. Poi si trasferisce vicino ai cassonetti per pulire l’immondizia straripata dalle buste, abbandonate in malo modo, e urla nuovamente di imparare a fare la raccolta differenziata. Nessuno risponde mai.

A sera, mentre le sedie di plastica e le sdraio di tela rientrano nelle rispettive abitazioni, quattro ragazze vicine di casa, tutte separate, si dirigono verso una macchina parcheggiata. Vogliono provare un nuovo locale di tendenza appena aperto sulla spiaggia, con il pavimento di legno, tende trasparenti che creano un po' di intimità, musica a palla, cuscini a terra e incensi vari. Praticamente potresti essere in qualunque posto della terra, tanto il mare non si vede e non si sente. I figli sono stati affidati a nonni, televisori e playstation, non necessariamente in quest’ordine. I padri, questi strani inevitabili incidenti, orbitano intorno agli affari loro e non possono essere presi in considerazione. Quella che guida ci tiene a specificare che da poco se lo è ripreso in casa dopo la separazione, ma che adesso quasi quasi lo caccia di nuovo.

Le pareti delle case sono sottili, si sente tutto, ma proprio tutto. Le liti, come le riappacificazioni sono patrimonio comune. Più le liti però. L’altro giorno lei chiedeva i soldi a lui, che ha cominciato ad alzare la voce. Non capiva perché fosse necessario spendere tutti quei soldi per il figlio. Era il loro regalo di maturità per il ragazzo, uscito col massimo dei voti, aveva spiegato lei. «Sti cazzi, ha fatto il suo dovere» aveva risposto lui.
Quello di sopra litiga con quello del terzo piano perché il cane abbaia. Quello del primo piano litiga con quella del secondo perché usa le ciabatte con i tacchetti alle sei del mattino. Ogni tanto qualcuno prova ad alzare la voce anche con me nascosto nel suo appartamentino, perché sanno che può essere pericoloso prendersela con una montagna di muscoli. Non mi conoscono abbastanza.

Vengo dalla Romania e la gente qui mi chiama Cezar. Non è il mio vero nome, quello è rimasto al mio paese insieme a vecchie storie, l’inferno che ho voluto lasciarmi alle spalle. Pochi sono gli amici. Per vivere e mandare un po’ di soldi ai miei, devo arrangiarmi. Resisto, anche per me ci sarà un futuro migliore. Riesco ad andare avanti con questa convinzione, con questo credo.
La donna che dorme nel mio letto si chiama Loretta è italiana e fa l’estetista, ha un negozio qui nel quartiere. Sono andato da lei perché dovevo cancellare due tatuaggi, uno sul braccio ed uno sulla gamba. Lei si è offerta di farmi anche la ceretta, dicendo che gli uomini con i peli sulle spalle perdono metà del loro fascino.
Dalla sua piccola tivù mi ha mostrato gli atleti dei mondiali di nuoto.
«Guarda che fisici, neanche un pelo. Ma te li immagini con la schiena coperta di peluria». No, non me li immaginavo. In realtà non ci avevo mai pensato. Mica sono un campione di nuoto. «Ahi! Ma che fai?»
«Rilassati, ecco guarda qua, non li avevi mai notati eh? Ma non preoccuparti ora togliamo tutto, puliamo per bene. Vedrai alla fine anche tu non potrai credere ai tuoi occhi».
Più che non credere ai miei occhi, guardai i suoi: gli occhi neri e profondi di una bella donna, della mia donna.
Ha deciso di curare il mio aspetto, piccole cose: una camicia a tinta unita piuttosto che a quadri, il giubbotto marrone piuttosto che blu con righe bianche sulle maniche, niente più berretto di lana e calzini bianchi.
Ha combinato qualcosa anche alle mie sopracciglia e ora la gente non si scansa più come prima.

Fa molto caldo stanotte e abbiamo lasciato tutte le finestre aperte. Bacio la spalla liscia e profumata della mia donna che dorme tranquilla e mi alzo, tanto non riesco a chiudere occhio. Mi metto comodo sulla sedia a sdraio che entra a stento sul balconcino e mi godo il fresco e l'umidità notturna, il buio, il silenzio... Penso al mio paese e alla mia nuova vita: non è ancora tempo per fare bilanci. Quasi ci starebbe bene una sigaretta, ma ho smesso e, mentre penso agli affari miei – o anche a nulla – vedo il cane della vicina, quel coso peloso e antipatico, frugare nella siepe... e la cosa mi incuriosisce anche se non so perché.

Da domani dovrò mettere la sveglia. Il folle dal buongiorno assassino aveva aumentato la dose: era passato a scandire anche le ore del giorno. Ho sentito parlare di casa di cura, d’ospedale psichiatrico. Non ho saputo altro. Eppure al mattino mi mancano quelle urla, ma mi mancherebbe di più la doccia col tubo di gomma.

domenica 21 febbraio 2010

Passo palla a Aldo!!!

Ciao a tutti, quello qui sotto, nel post precedente, è il risultato della mia manomissione.
Aldo lascio il gioco a te,
saluti
Anna

La Strada

Non frugavo tra le sue cose, cercavo solo la sveglia. Da domani dovrò metterla per svegliarmi. Il folle dal buongiorno assassino aveva aumentato la dose: era passato a scandire anche le ore del giorno. Ho sentito parlare di casa di cura, d’ospedale psichiatrico. Non ho saputo altro. «Assassini»! Urlava. «Cacchio già le otto!», invece erano ancora le sei. Si era svegliato prima e aveva deciso di portarsi avanti con il lavoro. Tutte le mattine ci dava l’alzata, affacciandosi al balcone e benedicendo la comunità con il suo personale saluto. Mi ricorda qualcuno. Ormai gli sono affezionati qui nel quartiere, ha conquistato il perdono di tutti. Lui.

La strada è una specie di paese, perché vissuta come un prolungamento dei cortili delle case. Già dalla mattina, lungo il marciapiede, è solito veder spuntare qualche sedia, cui se n’aggiungono altre durante il giorno, tanto che il marciapiede alla fine sembra una scacchiera. Due i punti di raggruppamento in chiara concorrenza tra loro. Si trattano con cortesia e rispetto ma in realtà sono due compagini che si dividono lo stesso terreno, pronte entrambe a fare fuoco al primo sgarro.

Il forestiero che si trova a passare da quelle parti è scrutato con sospetto, studiato per capirne le intenzioni. L’altro giorno ho visto una donna suonare al citofono di fronte e il vicino uscire e fermarsi a chiacchierare con lei. Dopo una decina di minuti mi sono accorto che erano tutti fuori appollaiati come condor con gli occhi puntati su di loro in attesa di sbranare la carcassa. La malcapitata, terminata la strada, deve aver avuto la sensazione di aver appena fatto una lastra.

Nei punti in cui si formano questi raduni spontanei, si celebra il sacro rito della condivisione, soprattutto quello dei cacchi altrui, ma c’è un momento che nessuno vorrebbe perdersi mai, soprattutto io: l’apparizione della vicina, una ragazza dell’est di circa 25 anni, che con questa calura d’agosto ogni giorno si dà appuntamento davanti al tubo di gomma. Una doccia in giardino in reggiseno e perizoma. Per lei è talmente naturale che canticchia pure. Io invece rimango per un quarto d’ora a pulire la stessa finestra. Mezz’ora dopo è sul balcone a stendere la biancheria e mi tocca pulire anche la finestra di fronte.
Al mattino mi mancheranno le urla del folle, ma mi mancherebbe di più la doccia col tubo di gomma.

Oggi il pensionato spazza il cortile davanti ai garage e raccoglie 14 viti piccole, 2 grandi, 16 rondelle, 4 chiodi, 6 bulloni e 3 graffette arrugginite; le mette in fila e urla nell’etere che potrebbero bucare una ruota. Poi si trasferisce vicino ai cassonetti per pulire l’immondizia straripante, raccoglie le buste abbandonate in malo modo, e urla nuovamente di imparare a fare la raccolta differenziata. Nessuno risponde mai.

A sera, mentre le sedie di plastica o le sdraio di tela rientrano nelle rispettive case, quattro ragazze vicine di casa, tutte separate, si dirigono verso una macchina parcheggiata. Vogliono provare un nuovo locale di tendenza appena aperto sulla spiaggia, pavimento di legno, tende trasparenti, musica a palla, cuscini a terra e incensi vari. Praticamente potresti essere in qualunque posto della terra, tanto il mare non si vede e non si sente. I figli sono stati affidati a nonni, televisori e playstation, non necessariamente in quest’ordine. I padri, questi strani inevitabili incidenti, orbitano intorno agli affari loro e non possono essere presi in considerazione. Quella che guida ci tiene a specificare che da poco se lo è ripreso in casa dopo la separazione, ma che adesso quasi quasi lo caccia di nuovo.

Le pareti delle case sono sottili, si sente tutto, ma proprio tutto. Le liti, come le riappacificazioni sono patrimonio comune. Più le liti però. L’altro giorno lei chiedeva i soldi a lui, che ha cominciato ad alzare la voce. Non capiva perché fosse necessario spendere tutti quei soldi per il figlio. Lei disse che era il loro regalo di maturità per il ragazzo, uscito col massimo dei voti. Lui risponde «Sti cazzi, ha fatto il suo dovere». Quello di sopra litiga con quello del terzo piano perché il cane abbaia. Quello del primo piano litiga con quella del secondo perché usa le ciabatte con i tacchetti alle sei del mattino. Ogni tanto qualcuno prova ad alzare la voce anche con me, nascosto nel suo appartamentino, perché sanno che può essere pericoloso prendersela con una montagna di muscoli. Non mi conoscono abbastanza.
Vengo dalla Romania e la gente qui mi chiama Cezar, non è il mio vero nome, quello è rimasto al mio paese. Pochi sanno la mia storia, pochi sono gli amici. Per vivere devo arrangiarmi. Resisto, anche per me ci sarà un futuro migliore. La donna che dorme nel mio letto si chiama Loretta è italiana e fa l’estetista, ha un negozio qui nel quartiere. Sono andato da lei perché dovevo cancellare due tatuaggi, uno sul braccio ed uno sulla gamba. Lei si è offerta di farmi anche la ceretta, dicendo che gli uomini con i peli sulle spalle perdono metà del loro fascino.
Dalla sua piccola tivù mi ha mostrato gli atleti dei mondiali di nuoto.
«Guarda che fisici, neanche un pelo. Ma te li immagini con la schiena coperta di peluria». No, non me li immaginavo. In realtà non ci avevo mai pensato. Mica sono un campione di nuoto.
«Ahi! Ma che fai?»
«Rilassati, ecco guarda qua, non li avevi mai notati eh? Ma non preoccuparti ora togliamo tutto, puliamo per bene. Vedrai alla fine anche tu non potrai credere ai tuoi occhi».Più che non credere ai miei occhi, guardai i suoi. Neri e profondi, di una bella donna, niente male davvero. Ha deciso di curare il mio aspetto, piccole cose: una camicia a tinta unita piuttosto che a quadri, il giubbotto marrone piuttosto che blu con righe bianche sulle maniche, niente più cappelletto di lana e calzini bianchi. Ha combinato qualcosa anche alle mie sopracciglia e ora la gente non si scansa più come prima.

Quello che ho trovato cercando la sveglia l’ho rimesso tutto a posto. Mi chiedo come sia venuta a conoscenza di certe cose. L’altro giorno mi ha detto che questo fine settimana sarebbe andata a Bologna tre giorni per un corso di aggiornamento ed ora scopro per le stese date i biglietti arerei di andata e ritorno per Bucharest e quell’articolo di giornale con il mio nome la mia foto di un tempo. Pensavo proprio di essermi lasciato tutto alle spalle. Non ho voglia di chiederle nulla per me è una storia vecchia e dimenticata.

Mi sveglio prima dell'alba, sognando di sentire il folle che urla: «Assassini!» Possibile che quest'uomo debba rompermi le scatole anche ora che non c'è? Epperò un'inquietudine strana mi prende e non riesco più a dormire. Fa molto caldo stanotte e Loretta ed io abbiamo lasciato tutte le finestre aperte. Bacio la spalla liscia e profumata della mia donna che dorme tranquilla e mi alzo, tanto non riesco a chiudere occhio. Mi metto comodo sulla sedia a sdraio che entra a stento sul balconcino e mi godo il fresco e l'umidità notturna, il buio, il silenzio. Quasi ci starebbe bene una sigaretta, ma ho smesso ... Mentre penso agli affari miei – o anche a nulla – vedo il cane della vicina, quel coso peloso e antipatico, frugare nella siepe e la cosa mi incuriosisce anche se non so perché.

La luce del giorno si fa' strada, albeggia. Ha rinfrescato mi rinfilo nel letto nella speranza di riuscire a dormire un po'. In fondo la storia è tutta raccontata in quell’articolo, lei sa già. Mi sorprende non essermi accorto di nulla. Non la facevo così coraggiosa, andare fino li giù da sola, non conosce la lingua non c’è mai stata prima Se vuol sapere del mio inferno prima di oggi, bene, si accomodi pure.
Mi alzo e preparo la colazione mentre lei si gira nel letto. Tra poco gli racconterò la mia versione, la vera storia.

Spalma la marmellata sulla fetta di pane tostato, la bocca si apre mentre guarda quello che le ho messo davanti.
Resta così. «Ma, che … hai frugato tra le mie cose».
«Cercavo la sveglia».
«Ma come ti permetti Cezar, cosa vuoi dire con questo? Io non ti ho chiesto niente, mai. Sono cose che ho scoperto per caso ascoltando i tuoi connazionali mentre di nascosto parlano di te, pensano che io non capisca niente, neanche tu lo sai volevo fosse una sorpresa. Sto andando a un corso di lingua, vi capisco Cezar. Volevo andare li per farmi una mia idea delle cose». Le trema la voce il volto è tutto arrossato anche il collo, gli occhi mi fissano intensi, ha la bocca semichiusa, mi verrebbe da baciarla e consolarla.
«Non serve che vai fino li, la storia la saprai direttamente da me».
«Come hai letto lì ero un dirigente in quella fabbrica di vernici. Tutto. L’inquinamento della zona e i residui tossici abbandonati nel fiume è’tutto vero, ma non è accaduto così, lo hanno detto per coprire le vere colpe».
«Qui dicono che tu eri al corrente»
«Quando uscì quell’articolo. Ero all’estero, avevo già abbandonato il paese e cercato una nuova identità.
La nostra fabbrica era il fiore all’occhiello della regione, occupava la maggior parte degli abitanti, tutti noi eravamo impegnati al massimo ed i protocolli di sicurezza erano molto severi. All’inizio degli anni 2000 sono arrivati gli investitori esteri, l’amministratore ha stipulato contratti in cui si impegnava per certi risultati di crescita economica. Nessuno di noi ha capito le loro manovre fino a quando non hanno cominciato a pretendere altri ritmi di produzione, e noi eravamo tutti forsennatamente all’inseguimento del risultato. Non potrò mai dimenticare quel 21 febbraio del 2002 era giovedì. Quella mattina sono arrivate diverse cisterne con prodotti chimici per la produzione, li inviavano i nuovi soci europei. L’area dedicata allo stoccaggio era stata designata direttamente dall’amministratore, due padiglioni da 5'000 metri quadrati ciascuno. Allo scarico non partecipò nessuno dello stabilimento, chiesi come mai l’amministratore mi zitti dicendo che si trattava di prodotti speciali gestiti direttamente dai nostri soci. Nei giorni successivi continuarono ad arrivare cisterne, ma nessun prodotto usciva da quegli edifici. Mi decisi ed andai a vedere, le persone che si avvicinavano alle cisterne erano vestite di materiale giallo o argento da testa a piedi, dalle cisterne uscivano tubi flessibili con delle grandi bocchette che venivano avvitate sui contenitori stagni posti in fila uno dietro l’altro su tutta la superficie dei padiglioni, non appena l’operazione era conclusa qualcuno dava il via e il prodotto veniva spruzzato dentro a pressione. Avevo visto cose del genere solo in televisione quando parlano di scorie radioattive».
«L’articolo non parla si scorie radioattive».
«Hanno messo tutto a tacere. Quando ho scoperto il deposito ho cercato in tutte le maniere prima di farli ragionare poi di denunciare l’accaduto, ma hanno minacciato prima me e poi la mia famiglia, sono arrivati fino a mio padre mia madre, hanno quasi ucciso mio fratello mia moglie ha preso nostro figlio ed è sparita, così dal giorno alla notte, non ho più una famiglia li hanno terrorizzati e mi hanno costretto ad abbandonarli».
«Cezar, mi dispiace». In un attimo è volata ad abbracciarmi.

sabato 20 febbraio 2010

La Strada

Non frugavo tra le sue cose, cercavo solo la sveglia. Da domani dovrò metterla per svegliarmi. Il folle dal buongiorno assassino aveva aumentato la dose: era passato a scandire anche le ore del giorno. Ho sentito parlare di casa di cura, d’ospedale psichiatrico. Non ho saputo altro. «Assassini»! Urlava. «Cacchio già le otto!», invece erano ancora le sei. Si era svegliato prima e aveva deciso di portarsi avanti con il lavoro. Tutte le mattine ci dava la sveglia, affacciandosi al balcone e benedicendo la comunità con il suo personale saluto. Mi ricorda qualcuno. Ormai gli sono affezionati qui nel quartiere, ha conquistato il perdono di tutti. Lui.

La strada è una specie di paese, perché vissuta come un prolungamento dei cortili delle case. Già dalla mattina, lungo il marciapiede, è solito veder spuntare qualche sedia, cui se n’aggiungono altre durante il giorno, tanto che il marciapiede alla fine sembra una scacchiera. Due i punti di raggruppamento in chiara concorrenza tra loro. Si trattano con cortesia e rispetto ma in realtà sono due compagini che si dividono lo stesso terreno, pronte entrambe a fare fuoco al primo sgarro.

Il forestiero che si trova a passare da quelle parti è scrutato con sospetto, studiato per capirne le intenzioni. L’altro giorno ho visto una donna suonare al citofono di fronte e il vicino uscire e fermarsi a chiacchierare con lei. Dopo una decina di minuti mi sono accorto che erano tutti fuori appollaiati come condor con gli occhi puntati su di loro in attesa di sbranare la carcassa. La malcapitata, terminata la strada, deve aver avuto la sensazione di aver appena fatto una lastra.

Nei punti in cui si formano questi raduni spontanei, si celebra il sacro rito della condivisione, soprattutto quello dei cacchi altrui, ma c’è un momento che nessuno vorrebbe perdersi mai, soprattutto io: l’apparizione della vicina, una ragazza dell’est di circa 25 anni, che con questa calura d’agosto ogni giorno si dà appuntamento davanti al tubo di gomma. Una doccia in giardino in reggiseno e perizoma. Per lei è talmente naturale che canticchia pure. Io invece rimango per un quarto d’ora a pulire la stessa finestra. Mezz’ora dopo è sul balcone a stendere la biancheria e mi tocca pulire anche la finestra di fronte.
Al mattino mi mancheranno le urla del folle, ma mi mancherebbe di più la doccia col tubo di gomma.

Oggi il pensionato spazza il cortile davanti ai garage e raccoglie 14 viti piccole, 2 grandi, 16 rondelle, 4 chiodi, 6 bulloni e 3 graffette arrugginite; le mette in fila e urla nell’etere che potrebbero bucare una ruota. Poi si trasferisce vicino ai cassonetti per pulire l’immondizia straripante, raccoglie le buste abbandonate in malo modo, e urla nuovamente di imparare a fare la raccolta differenziata. Nessuno risponde mai.

A sera, mentre le sedie di plastica o le sdraio di tela rientrano nelle rispettive case, quattro ragazze vicine di casa, tutte separate, si dirigono verso una macchina parcheggiata. Vogliono provare un nuovo locale di tendenza appena aperto sulla spiaggia, pavimento di legno, tende trasparenti, musica a palla, cuscini a terra e incensi vari. Praticamente potresti essere in qualunque posto della terra, tanto il mare non si vede e non si sente. I figli sono stati affidati a nonni, televisori e playstation, non necessariamente in quest’ordine. I padri, questi strani inevitabili incidenti, orbitano intorno agli affari loro e non possono essere presi in considerazione. Quella che guida ci tiene a specificare che da poco se lo è ripreso in casa dopo la separazione, ma che adesso quasi quasi lo caccia di nuovo.

Le pareti delle case sono sottili, si sente tutto, ma proprio tutto. Le liti, come le riappacificazioni sono patrimonio comune. Più le liti però. L’altro giorno lei chiedeva i soldi a lui, che ha cominciato ad alzare la voce. Non capiva perché fosse necessario spendere tutti quei soldi per il figlio. Lei disse che era il loro regalo di maturità, uscito col massimo dei voti. Lui risponde «Sti cazzi». Quello di sopra litiga con quello del terzo piano perché il cane abbaia. Quello del primo piano litiga con quella del secondo perché usa le ciabatte con i tacchetti alle sei del mattino. Ogni tanto qualcuno prova ad alzare la voce anche con me, nascosto nel suo appartamentino, perché sanno che può essere pericoloso prendersela con una montagna di muscoli. Non mi conoscono abbastanza.
Vengo dalla Romania e la gente qui mi chiama Cezar, non è il mio vero nome, quello è rimasto al mio paese. Pochi sanno la mia storia, pochi sono gli amici. Per vivere e mandare un po’ di soldi ai miei, devo arrangiarmi. Resisto, anche per me ci sarà un futuro migliore. La donna che dorme nel mio letto si chiama Loretta è italiana e fa l’estetista, ha un negozio qui nel quartiere. Sono andato da lei perché dovevo cancellare due tatuaggi, uno sul braccio ed uno sulla gamba. Lei si è offerta di farmi anche la ceretta, dicendo che gli uomini con i peli sulle spalle perdono metà del loro fascino.
Dalla sua piccola tivù mi ha mostrato gli atleti dei mondiali di nuoto.
«Guarda che fisici, neanche un pelo. Ma te li immagini con la schiena coperta di peluria». No, non me li immaginavo. In realtà non ci avevo mai pensato. Mica sono un campione di nuoto.
«Ahi! Ma che fai?»
«Rilassati, ecco guarda qua, non li avevi mai notati eh? Ma non preoccuparti ora togliamo tutto, puliamo per bene. Vedrai alla fine anche tu non potrai credere ai tuoi occhi».Più che non credere ai miei occhi, guardai i suoi. Neri e profondi, di una bella donna, niente male davvero. Ha deciso di curare il mio aspetto, piccole cose: una camicia a tinta unita piuttosto che a quadri, il giubbotto marrone piuttosto che blu con righe bianche sulle maniche, niente più cappelletto di lana e calzini bianchi. Ha combinato qualcosa anche alle mie sopracciglia e ora la gente non si scansa più come prima.

Quello che ho trovato cercando la sveglia l’ho rimesso tutto a posto. Mi chiedo come sia venuta a conoscenza di certe cose. L’altro giorno mi ha detto che questo fine settimana sarebbe andata a Bologna tre giorni per un corso di aggiornamento ed ora scopro per le stese date i biglietti arerei di andata e ritorno per Bucharest e quell’articolo di giornale con la mia foto di un tempo. Pensavo proprio di essermi lasciato tutto alle spalle. Non ho voglia di chiederle nulla per me è una storia vecchia e dimenticata.

Mi sveglio prima dell'alba, sognando di sentire il folle che urla: «Assassini!» Possibile che quest'uomo debba rompermi le scatole anche ora che non c'è? Epperò un'inquietudine strana mi prende e non riesco più a dormire. Fa molto caldo stanotte e Loretta ed io abbiamo lasciato tutte le finestre aperte. Bacio la spalla liscia e profumata della mia donna che dorme tranquilla e mi alzo, tanto non riesco a chiudere occhio. Mi metto comodo sulla sedia a sdraio che entra a stento sul balconcino e mi godo il fresco e l'umidità notturna, il buio, il silenzio. Quasi ci starebbe bene una sigaretta, ma ho smesso ... Mentre penso agli affari miei – o anche a nulla – vedo il cane della vicina, quel coso peloso e antipatico, frugare nella siepe e la cosa mi incuriosisce anche se non so perché.

La luce del giorno si fa' strada, albeggia. Ha rinfrescato mi rinfilo nel letto nella speranza di riuscire a dormire un po'. In fondo la storia è tutta raccontata in quell’articolo, lei sa già. Mi sorprende non essermi accorto di nulla. Non la facevo così coraggiosa, andare fino li giù da sola, non conosce la lingua non c’è mai stata prima Se vuol sapere del mio inferno prima di oggi, bene, si accomodi pure.
Mi alzo e preparo la colazione mentre lei si gira nel letto. Tra poco gli racconterò la mia versione, la vera storia.

domenica 14 febbraio 2010

La strada

«Assassini»! Urla il folle. «Cacchio già le otto!», invece erano ancora le sei. Si era svegliato prima e aveva deciso di portarsi avanti con il lavoro. Tutte le mattine ci da la sveglia e affacciandosi al balcone benedice la comunità con il suo personale saluto. Mi ricorda qualcuno. Ormai gli sono affezionati qui nel quartiere, ha conquistato il perdono di tutti. Lui.

La strada è una specie di paese, perchè vissuta come un prolungamento dei cortili delle case. Già dalla mattina, lungo il marciapiede, è solito veder spuntare qualche sedia, cui se n’aggiungono altre durante il giorno, tanto che il marciapiede alla fine sembra una scacchiera.

I due punti di raggruppamento sono in chiara concorrenza tra loro. Si trattano con cortesia e rispetto ma in realtà sono due compagini che si dividono lo stesso terreno, pronte entrambe a fare fuoco al primo sgarro.

Il forestiero che si trova a passare da quelle parti è scrutato con sospetto, studiato per capirne le intenzioni. L’altro giorno ho visto una donna suonare al citofono di fronte e il vicino uscire e fermarsi a chiacchierare con lei. Dopo una decina di minuti mi sono accorto che erano tutti fuori appollaiati come condor con gli occhi puntati su di loro in attesa di sbranare la carcassa. La malcapitata, terminata la strada, deve aver avuto la sensazione di aver appena fatto una lastra.

Nei punti in cui si formano questi raduni spontanei, si celebra il sacro rito della condivisione, soprattutto quello dei cacchi altrui, ma c’è un momento che nessuno vorrebbe perdersi mai, soprattutto io: l’apparizione della vicina, una ragazza dell’est di circa 25 anni, che con questa calura d’agosto ogni giorno si dà appuntamento davanti al tubo di gomma. Una doccia in giardino in reggiseno e perizoma. Per lei è talmente naturale che canticchia pure. Io invece rimango per un quarto d’ora a pulire la stessa finestra. Mezz’ora dopo è sul balcone a stendere la biancheria e mi tocca pulire anche la finestra di fronte.

Oggi il pensionato spazza il cortile davanti ai garage e raccoglie 14 viti piccole, 2 grandi, 16 rondelle, 4 chiodi, 6 bulloni e 3 graffette arrugginite; le mette in fila e urla nell’etere che potrebbero bucare una ruota. Poi si trasferisce vicino ai cassonetti per pulire l’immondizia straripata dalle buste, abbandonate in malo modo, e urla nuovamente di imparare a fare la raccolta differenziata. Nessuno risponde mai.

A sera, mentre le sedie di plastica o le sdraio di tela rientrano nelle rispettive case, quattro ragazze vicine di casa, tutte separate, si dirigono verso una macchina parcheggiata. Vogliono provare un nuovo locale di tendenza appena aperto sulla spiaggia, con il pavimento di legno, tende trasparenti che creano un po' di intimità, musica a palla, cuscini a terra e incensi vari. Praticamente potresti essere in qualunque posto della terra, tanto il mare non si vede e non si sente. I figli sono stati affidati a nonni, televisori e playstation, non necessariamente in quest’ordine. I padri, questi strani inevitabili incidenti, orbitano intorno agli affari loro e non possono essere presi in considerazione. Quella che guida ci tiene a specificare che da poco se lo è ripreso in casa dopo la separazione, ma che adesso quasi quasi lo caccia di nuovo.

Le pareti delle case sono sottili, si sente tutto, ma proprio tutto. Le liti, come le riappacificazioni sono patrimonio comune. Più le liti però. L’altro giorno lei chiedeva i soldi a lui, che ha cominciato ad alzare la voce. Non capiva perché fosse necessario spendere tutti quei soldi per il figlio. Lei disse che era il loro regalo di maturità, perchè uscito col massimo dei voti. Lui risponde «Sti cazzi». Quello di sopra litiga con quello del terzo piano perché il cane abbaia. Quello del primo piano litiga con quella del secondo perché usa le ciabatte con i tacchetti alle sei del mattino. Ogni tanto qualcuno prova ad alzare la voce anche con me, nascosto nel suo appartamentino, perchè sanno che può essere pericoloso prendersela con una montagna di muscoli. Non mi conoscono abbastanza.

Vengo dalla Romania e la gente qui mi chiama Cezar, non è il mio vero nome, quello è rimasto al mio paese. Pochi sanno la mia storia, pochi sono gli amici. Per vivere e mandare un po’ di soldi ai miei, devo arrangiarmi. Resisto, anche per me ci sarà un futuro migliore. La donna che dorme nel mio letto si chiama Morena è italiana e fa l’estetista, ha un negozio qui nel quartiere. Sono andato da lei perché dovevo cancellare due tatuaggi, uno sul braccio ed uno sulla gamba. Lei si è offerta di farmi anche la ceretta, dicendo che gli uomini con i peli sulle spalle perdono metà del loro fascino.

Dalla sua piccola tivù mi ha mostrato gli atleti dei mondiali di nuoto.
«Guarda che fisici, neanche un pelo. Ma te li immagini con la schiena coperta di peluria». No, non me li immaginavo. In realtà non ci avevo mai pensato. Mica sono un campione di nuoto.
«Ahi! Ma che fai?»
«Rilassati, ecco guarda qua, non li avevi mai notati eh? Ma non preoccuparti ora togliamo tutto, puliamo per bene. Vedrai alla fine anche tu non potrai credere ai tuoi occhi».Più che non credere ai miei occhi, guardai i suoi. Neri e profondi, di una bella donna, niente male davvero. Ha deciso di curare il mio aspetto, piccole cose: una camicia a tinta unita piuttosto che a quadri, il giubbotto marrone piuttosto che blu con righe bianche sulle maniche, niente più cappelletto di lana e calzini bianchi. Ha combinato qualcosa anche alle mie sopracciglia e ora la gente non si scansa più come prima.

Da domani dovrò mettere la sveglia. Il folle dal buongiorno assassino aveva aumentato la dose: era passato a scandire anche le ore del giorno. Ho sentito parlare di casa di cura, d’ospedale psichiatrico. Non ho saputo altro. Eppure al mattino mi mancano quelle urla, ma mi mancherebbe di più la doccia col tubo di gomma.


Mi sveglio prima dell'alba, sognando di sentire il folle che urla: «Assassini!» Possibile che quest'uomo debba rompermi le scatole anche ora che non c'è? Epperò un'inquietudine strana mi prende e non riesco più a dormire. Fa molto caldo stanotte e Morena ed io abbiamo lasciato tutte le finestre aperte. Bacio la spalla liscia e profumata della mia donna che dorme tranquilla e mi alzo, tanto non riesco a chiudere occhio. Mi metto comodo sulla sedia a sdraio che entra a stento sul balconcino e mi godo il fresco e l'umidità notturna, il buio, il silenzio... Quasi ci starebbe bene una sigaretta, ma ho smesso... Mentre penso agli affari miei – o anche a nulla – vedo il cane della vicina, quel coso peloso e antipatico, frugare nella siepe... e la cosa mi incuriosisce anche se non so perché.

lunedì 1 febbraio 2010

La strada

«Assassini»! Urla il folle. «Cacchio già le otto!», invece erano ancora le sei. Si era svegliato prima e aveva deciso di portarsi avanti con il lavoro. Tutte le mattine ci da la sveglia e affacciandosi al balcone benedice la comunità con il suo personale saluto. Mi ricorda qualcuno. Ormai gli sono affezionati qui nel quartiere, ha conquistato il perdono di tutti. Lui.

La strada è una specie di paese, perchè vissuta come un prolungamento dei cortili delle case. Già dalla mattina, lungo il marciapiede, è solito veder spuntare qualche sedia, cui se n’aggiungono altre durante il giorno, tanto che il marciapiede alla fine sembra una scacchiera.

I due punti di raggruppamento sono in chiara concorrenza tra loro. Si trattano con cortesia e rispetto ma in realtà sono due compagini che si dividono lo stesso terreno, pronte entrambe a fare fuoco al primo sgarro.

Il forestiero che si trova a passare da quelle parti è scrutato con sospetto, studiato per capirne le intenzioni. L’altro giorno ho visto una donna suonare al citofono di fronte e il vicino uscire e fermarsi a chiacchierare con lei. Dopo una decina di minuti mi sono accorto che erano tutti fuori appollaiati come condor con gli occhi puntati su di loro in attesa di sbranare la carcassa. La malcapitata, terminata la strada, deve aver avuto la sensazione di aver appena fatto una lastra.

Nei punti in cui si formano questi raduni spontanei, si celebra il sacro rito della condivisione, soprattutto quello dei cacchi altrui, ma c’è un momento che nessuno vorrebbe perdersi mai, soprattutto io: l’apparizione della vicina, una ragazza dell’est di circa 25 anni, che con questa calura d’agosto ogni giorno si dà appuntamento davanti al tubo di gomma. Una doccia in giardino in reggiseno e perizoma. Per lei è talmente naturale che canticchia pure. Io invece rimango per un quarto d’ora a pulire la stessa finestra. Mezz’ora dopo è sul balcone a stendere la biancheria e mi tocca pulire anche la finestra di fronte.

Oggi il pensionato spazza il cortile davanti ai garage e raccoglie 14 viti piccole, 2 grandi, 16 rondelle, 4 chiodi, 6 bulloni e 3 graffette arrugginite; le mette in fila e urla nell’etere che potrebbero bucare una ruota. Poi si trasferisce vicino ai cassonetti per pulire l’immondizia straripata dalle buste, abbandonate in malo modo, e urla nuovamente di imparare a fare la raccolta differenziata. Nessuno risponde mai.

A sera, mentre le sedie di plastica o le sdraio di tela rientrano nelle rispettive case, quattro ragazze vicine di casa, tutte separate, si dirigono verso una macchina parcheggiata. Vogliono provare un nuovo locale di tendenza appena aperto sulla spiaggia, con il pavimento di legno, tende trasparenti che creano un po' di intimità, musica a palla, cuscini a terra e incensi vari. Praticamente potresti essere in qualunque posto della terra, tanto il mare non si vede e non si sente. I figli sono stati affidati a nonni, televisori e playstation, non necessariamente in quest’ordine. I padri, questi strani inevitabili incidenti, orbitano intorno agli affari loro e non possono essere presi in considerazione. Quella che guida ci tiene a specificare che da poco se lo è ripreso in casa dopo la separazione, ma che adesso quasi quasi lo caccia di nuovo.

Le pareti delle case sono sottili, si sente tutto, ma proprio tutto. Le liti, come le riappacificazioni sono patrimonio comune. Più le liti però. L’altro giorno lei chiedeva i soldi a lui, che ha cominciato ad alzare la voce. Non capiva perché fosse necessario spendere tutti quei soldi per il figlio. Lei disse che era il loro regalo di maturità, perchè uscito col massimo dei voti. Lui risponde «Sti cazzi». Quello di sopra litiga con quello del terzo piano perché il cane abbaia. Quello del primo piano litiga con quella del secondo perché usa le ciabatte con i tacchetti alle sei del mattino. Ogni tanto qualcuno prova ad alzare la voce anche con me, nascosto nel suo appartamentino, perchè sanno che può essere pericoloso prendersela con una montagna di muscoli. Non mi conoscono abbastanza.

Vengo dalla Romania e la gente qui mi chiama Cezar, non è il mio vero nome, quello è rimasto al mio paese. Pochi sanno la mia storia, pochi sono gli amici. Per vivere e mandare un po’ di soldi ai miei, devo arrangiarmi. Resisto, anche per me ci sarà un futuro migliore. La donna che dorme nel mio letto si chiama Morena è italiana e fa l’estetista, ha un negozio qui nel quartiere. Sono andato da lei perché dovevo cancellare due tatuaggi, uno sul braccio ed uno sulla gamba. Lei si è offerta di farmi anche la ceretta, dicendo che gli uomini con i peli sulle spalle perdono metà del loro fascino.

Dalla sua piccola tivù mi ha mostrato gli atleti dei mondiali di nuoto.
«Guarda che fisici, neanche un pelo. Ma te li immagini con la schiena coperta di peluria». No, non me li immaginavo. In realtà non ci avevo mai pensato. Mica sono un campione di nuoto.
«Ahi! Ma che fai?»
«Rilassati, ecco guarda qua, non li avevi mai notati eh? Ma non preoccuparti ora togliamo tutto, puliamo per bene. Vedrai alla fine anche tu non potrai credere ai tuoi occhi».Più che non credere ai miei occhi, guardai i suoi. Neri e profondi, di una bella donna, niente male davvero. Ha deciso di curare il mio aspetto, piccole cose: una camicia a tinta unita piuttosto che a quadri, il giubbotto marrone piuttosto che blu con righe bianche sulle maniche, niente più cappelletto di lana e calzini bianchi. Ha combinato qualcosa anche alle mie sopracciglia e ora la gente non si scansa più come prima.

Da domani dovrò mettere la sveglia. Il folle dal buongiorno assassino aveva aumentato la dose: era passato a scandire anche le ore del giorno. Ho sentito parlare di casa di cura, d’ospedale psichiatrico. Non ho saputo altro. Eppure al mattino mi mancano quelle urla, ma mi mancherebbe di più la doccia col tubo di gomma.