domenica 14 febbraio 2010

La strada

«Assassini»! Urla il folle. «Cacchio già le otto!», invece erano ancora le sei. Si era svegliato prima e aveva deciso di portarsi avanti con il lavoro. Tutte le mattine ci da la sveglia e affacciandosi al balcone benedice la comunità con il suo personale saluto. Mi ricorda qualcuno. Ormai gli sono affezionati qui nel quartiere, ha conquistato il perdono di tutti. Lui.

La strada è una specie di paese, perchè vissuta come un prolungamento dei cortili delle case. Già dalla mattina, lungo il marciapiede, è solito veder spuntare qualche sedia, cui se n’aggiungono altre durante il giorno, tanto che il marciapiede alla fine sembra una scacchiera.

I due punti di raggruppamento sono in chiara concorrenza tra loro. Si trattano con cortesia e rispetto ma in realtà sono due compagini che si dividono lo stesso terreno, pronte entrambe a fare fuoco al primo sgarro.

Il forestiero che si trova a passare da quelle parti è scrutato con sospetto, studiato per capirne le intenzioni. L’altro giorno ho visto una donna suonare al citofono di fronte e il vicino uscire e fermarsi a chiacchierare con lei. Dopo una decina di minuti mi sono accorto che erano tutti fuori appollaiati come condor con gli occhi puntati su di loro in attesa di sbranare la carcassa. La malcapitata, terminata la strada, deve aver avuto la sensazione di aver appena fatto una lastra.

Nei punti in cui si formano questi raduni spontanei, si celebra il sacro rito della condivisione, soprattutto quello dei cacchi altrui, ma c’è un momento che nessuno vorrebbe perdersi mai, soprattutto io: l’apparizione della vicina, una ragazza dell’est di circa 25 anni, che con questa calura d’agosto ogni giorno si dà appuntamento davanti al tubo di gomma. Una doccia in giardino in reggiseno e perizoma. Per lei è talmente naturale che canticchia pure. Io invece rimango per un quarto d’ora a pulire la stessa finestra. Mezz’ora dopo è sul balcone a stendere la biancheria e mi tocca pulire anche la finestra di fronte.

Oggi il pensionato spazza il cortile davanti ai garage e raccoglie 14 viti piccole, 2 grandi, 16 rondelle, 4 chiodi, 6 bulloni e 3 graffette arrugginite; le mette in fila e urla nell’etere che potrebbero bucare una ruota. Poi si trasferisce vicino ai cassonetti per pulire l’immondizia straripata dalle buste, abbandonate in malo modo, e urla nuovamente di imparare a fare la raccolta differenziata. Nessuno risponde mai.

A sera, mentre le sedie di plastica o le sdraio di tela rientrano nelle rispettive case, quattro ragazze vicine di casa, tutte separate, si dirigono verso una macchina parcheggiata. Vogliono provare un nuovo locale di tendenza appena aperto sulla spiaggia, con il pavimento di legno, tende trasparenti che creano un po' di intimità, musica a palla, cuscini a terra e incensi vari. Praticamente potresti essere in qualunque posto della terra, tanto il mare non si vede e non si sente. I figli sono stati affidati a nonni, televisori e playstation, non necessariamente in quest’ordine. I padri, questi strani inevitabili incidenti, orbitano intorno agli affari loro e non possono essere presi in considerazione. Quella che guida ci tiene a specificare che da poco se lo è ripreso in casa dopo la separazione, ma che adesso quasi quasi lo caccia di nuovo.

Le pareti delle case sono sottili, si sente tutto, ma proprio tutto. Le liti, come le riappacificazioni sono patrimonio comune. Più le liti però. L’altro giorno lei chiedeva i soldi a lui, che ha cominciato ad alzare la voce. Non capiva perché fosse necessario spendere tutti quei soldi per il figlio. Lei disse che era il loro regalo di maturità, perchè uscito col massimo dei voti. Lui risponde «Sti cazzi». Quello di sopra litiga con quello del terzo piano perché il cane abbaia. Quello del primo piano litiga con quella del secondo perché usa le ciabatte con i tacchetti alle sei del mattino. Ogni tanto qualcuno prova ad alzare la voce anche con me, nascosto nel suo appartamentino, perchè sanno che può essere pericoloso prendersela con una montagna di muscoli. Non mi conoscono abbastanza.

Vengo dalla Romania e la gente qui mi chiama Cezar, non è il mio vero nome, quello è rimasto al mio paese. Pochi sanno la mia storia, pochi sono gli amici. Per vivere e mandare un po’ di soldi ai miei, devo arrangiarmi. Resisto, anche per me ci sarà un futuro migliore. La donna che dorme nel mio letto si chiama Morena è italiana e fa l’estetista, ha un negozio qui nel quartiere. Sono andato da lei perché dovevo cancellare due tatuaggi, uno sul braccio ed uno sulla gamba. Lei si è offerta di farmi anche la ceretta, dicendo che gli uomini con i peli sulle spalle perdono metà del loro fascino.

Dalla sua piccola tivù mi ha mostrato gli atleti dei mondiali di nuoto.
«Guarda che fisici, neanche un pelo. Ma te li immagini con la schiena coperta di peluria». No, non me li immaginavo. In realtà non ci avevo mai pensato. Mica sono un campione di nuoto.
«Ahi! Ma che fai?»
«Rilassati, ecco guarda qua, non li avevi mai notati eh? Ma non preoccuparti ora togliamo tutto, puliamo per bene. Vedrai alla fine anche tu non potrai credere ai tuoi occhi».Più che non credere ai miei occhi, guardai i suoi. Neri e profondi, di una bella donna, niente male davvero. Ha deciso di curare il mio aspetto, piccole cose: una camicia a tinta unita piuttosto che a quadri, il giubbotto marrone piuttosto che blu con righe bianche sulle maniche, niente più cappelletto di lana e calzini bianchi. Ha combinato qualcosa anche alle mie sopracciglia e ora la gente non si scansa più come prima.

Da domani dovrò mettere la sveglia. Il folle dal buongiorno assassino aveva aumentato la dose: era passato a scandire anche le ore del giorno. Ho sentito parlare di casa di cura, d’ospedale psichiatrico. Non ho saputo altro. Eppure al mattino mi mancano quelle urla, ma mi mancherebbe di più la doccia col tubo di gomma.


Mi sveglio prima dell'alba, sognando di sentire il folle che urla: «Assassini!» Possibile che quest'uomo debba rompermi le scatole anche ora che non c'è? Epperò un'inquietudine strana mi prende e non riesco più a dormire. Fa molto caldo stanotte e Morena ed io abbiamo lasciato tutte le finestre aperte. Bacio la spalla liscia e profumata della mia donna che dorme tranquilla e mi alzo, tanto non riesco a chiudere occhio. Mi metto comodo sulla sedia a sdraio che entra a stento sul balconcino e mi godo il fresco e l'umidità notturna, il buio, il silenzio... Quasi ci starebbe bene una sigaretta, ma ho smesso... Mentre penso agli affari miei – o anche a nulla – vedo il cane della vicina, quel coso peloso e antipatico, frugare nella siepe... e la cosa mi incuriosisce anche se non so perché.

9 commenti:

  1. E se ognuno si scegliesse un colore con cui contrassegnare sempre il proprio intervento? (Una cavolata, vero?) Beh, ce l'ho fatta: ho manomesso il racconto! E ora passo la palla a Franca ;)

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  2. l'idea era che di manimissione in manomissione
    ci fosse una fusione generale in modo
    che non sia possibile più separare i vari contributi e così il prodotto finale sia davvero un lavoro collettivo...:)

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  3. @Daniela: sì, ho provato ad aprire una nuova strada ma sono stata un po' banale ed un cinefilo coglierebbe qualche riferimento non troppo casuale a... (e mò indovinate)
    @Bdm: allora lo cambio subito ;)

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  4. uhm... mumblemumble... però la prossima volta manometto, non aggiungo... già!

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  5. Si possono personalizzare i propri contributi ma la cosa più importante l'ha evidenziata, ancora una volta Bruno, e cioè: quando si fa qualcosa insieme, di collettivo, non devono venir fuori tanti racconti quanti gli autori ma un unico racconto arricchito di tutti i contributi e poi rivisto (editing + editing) per la stesura finale.

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  6. cin()filo?
    coso peloso e antipatico che fruga ... = cane di taglia piccola = yorkshire
    Ho indovinato?
    ... ok, vado a dormire =)
    vi restituisco tutto il 21!

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  7. @Anna: esatto! Proprio lui! :D ...Un cinefilo cinofilo :D
    @Aldo: sono pienamente d'accordo con Bruno e con te, lì per lì mi sembrava carino evidenziare tutto il lavoro di modifica fino alla stesura finale dove ogni intervento si sarebbe fuso insieme, però va benissimo anche così, anzi, è meglio.

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  8. naima, ma alla fine come e cosa si può scegliere?
    Sono curioso, intanto non mi suicido! :-)

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