domenica 28 febbraio 2010

La strada

«Assassini!» urla il folle. «Cacchio già le otto!», invece erano ancora le sei.
Si era svegliato prima e aveva deciso di portarsi avanti con il lavoro. Tutte le mattine ci dava l’alzata, affacciandosi al balcone e benedicendo la comunità con il suo personale saluto, come un muezzin dal minareto della moschea di quartiere. Gli eravamo affezionati, perciò aveva conquistato il perdono di tutti. Lui.

La strada è una specie di paese, perché vissuta come un prolungamento dei cortili delle case. Già dalla mattina, lungo il marciapiede, è solito veder spuntare qualche sedia, cui se n’aggiungono altre durante il giorno, tanto che il marciapiede alla fine sembra una scacchiera.
I due punti di raggruppamento sono in chiara concorrenza tra loro. Si trattano con cortesia e rispetto ma in realtà sono due compagini che si dividono lo stesso terreno, pronte entrambe a fare fuoco al primo sgarro, al primo sguardo allusivo, alla prima parola equivoca. Nell’ambiente il malinteso era sempre in agguato.

Il forestiero che si trova a passare da quelle parti è scrutato con sospetto, studiato per capirne le intenzioni. L’altro giorno ho visto una donna suonare al citofono di fronte e il vicino uscire e fermarsi a chiacchierare con lei. Dopo una decina di minuti mi sono accorto che erano tutti fuori, appollaiati come condor con gli occhi puntati su di loro in attesa di sbranare la carcassa. La malcapitata, terminata la strada, deve aver avuto la sensazione di aver appena fatto una lastra, non immaginando che sarebbe stata argomento tra gli argomenti della prossima adunata.

Nei punti in cui si formano questi raduni spontanei, si celebra il sacro rito della condivisione, soprattutto quello dei cacchi altrui, ma c’è un momento che nessuno vorrebbe perdersi mai, soprattutto io: l’apparizione della vicina, una ragazza dell’est di circa 25 anni, che con questa calura d’agosto ogni giorno si dà appuntamento davanti al tubo di gomma. Una doccia in giardino in reggiseno e perizoma. Per lei è talmente naturale che se la canticchia pure. Io invece rimango per un quarto d’ora a pulire la stessa finestra. Mezz’ora dopo è sul balcone a stendere la biancheria e mi tocca pulire anche la finestra di fronte. Qualcuno, solo per questo, potrebbe pensare che io sia un buon partito da sposare.

Oggi il pensionato spazza il cortile davanti ai garage e raccoglie 14 viti piccole, 2 grandi, 16 rondelle, 4 chiodi, 6 bulloni e 3 graffette arrugginite; le mette in fila e urla nell’etere che potrebbero bucare una ruota. Poi si trasferisce vicino ai cassonetti per pulire l’immondizia straripata dalle buste, abbandonate in malo modo, e urla nuovamente di imparare a fare la raccolta differenziata. Nessuno risponde mai.

A sera, mentre le sedie di plastica e le sdraio di tela rientrano nelle rispettive abitazioni, quattro ragazze vicine di casa, tutte separate, si dirigono verso una macchina parcheggiata. Vogliono provare un nuovo locale di tendenza appena aperto sulla spiaggia, con il pavimento di legno, tende trasparenti che creano un po' di intimità, musica a palla, cuscini a terra e incensi vari. Praticamente potresti essere in qualunque posto della terra, tanto il mare non si vede e non si sente. I figli sono stati affidati a nonni, televisori e playstation, non necessariamente in quest’ordine. I padri, questi strani inevitabili incidenti, orbitano intorno agli affari loro e non possono essere presi in considerazione. Quella che guida ci tiene a specificare che da poco se lo è ripreso in casa dopo la separazione, ma che adesso quasi quasi lo caccia di nuovo.

Le pareti delle case sono sottili, si sente tutto, ma proprio tutto. Le liti, come le riappacificazioni sono patrimonio comune. Più le liti però. L’altro giorno lei chiedeva i soldi a lui, che ha cominciato ad alzare la voce. Non capiva perché fosse necessario spendere tutti quei soldi per il figlio. Era il loro regalo di maturità per il ragazzo, uscito col massimo dei voti, aveva spiegato lei. «Sti cazzi, ha fatto il suo dovere» aveva risposto lui.
Quello di sopra litiga con quello del terzo piano perché il cane abbaia. Quello del primo piano litiga con quella del secondo perché usa le ciabatte con i tacchetti alle sei del mattino. Ogni tanto qualcuno prova ad alzare la voce anche con me nascosto nel suo appartamentino, perché sanno che può essere pericoloso prendersela con una montagna di muscoli. Non mi conoscono abbastanza.

Vengo dalla Romania e la gente qui mi chiama Cezar. Non è il mio vero nome, quello è rimasto al mio paese insieme a vecchie storie, l’inferno che ho voluto lasciarmi alle spalle. Pochi sono gli amici. Per vivere e mandare un po’ di soldi ai miei, devo arrangiarmi. Resisto, anche per me ci sarà un futuro migliore. Riesco ad andare avanti con questa convinzione, con questo credo.
La donna che dorme nel mio letto si chiama Loretta è italiana e fa l’estetista, ha un negozio qui nel quartiere. Sono andato da lei perché dovevo cancellare due tatuaggi, uno sul braccio ed uno sulla gamba. Lei si è offerta di farmi anche la ceretta, dicendo che gli uomini con i peli sulle spalle perdono metà del loro fascino.
Dalla sua piccola tivù mi ha mostrato gli atleti dei mondiali di nuoto.
«Guarda che fisici, neanche un pelo. Ma te li immagini con la schiena coperta di peluria». No, non me li immaginavo. In realtà non ci avevo mai pensato. Mica sono un campione di nuoto. «Ahi! Ma che fai?»
«Rilassati, ecco guarda qua, non li avevi mai notati eh? Ma non preoccuparti ora togliamo tutto, puliamo per bene. Vedrai alla fine anche tu non potrai credere ai tuoi occhi».
Più che non credere ai miei occhi, guardai i suoi: gli occhi neri e profondi di una bella donna, della mia donna.
Ha deciso di curare il mio aspetto, piccole cose: una camicia a tinta unita piuttosto che a quadri, il giubbotto marrone piuttosto che blu con righe bianche sulle maniche, niente più berretto di lana e calzini bianchi.
Ha combinato qualcosa anche alle mie sopracciglia e ora la gente non si scansa più come prima.

Fa molto caldo stanotte e abbiamo lasciato tutte le finestre aperte. Bacio la spalla liscia e profumata della mia donna che dorme tranquilla e mi alzo, tanto non riesco a chiudere occhio. Mi metto comodo sulla sedia a sdraio che entra a stento sul balconcino e mi godo il fresco e l'umidità notturna, il buio, il silenzio... Penso al mio paese e alla mia nuova vita: non è ancora tempo per fare bilanci. Quasi ci starebbe bene una sigaretta, ma ho smesso e, mentre penso agli affari miei – o anche a nulla – vedo il cane della vicina, quel coso peloso e antipatico, frugare nella siepe... e la cosa mi incuriosisce anche se non so perché.

Da domani dovrò mettere la sveglia. Il folle dal buongiorno assassino aveva aumentato la dose: era passato a scandire anche le ore del giorno. Ho sentito parlare di casa di cura, d’ospedale psichiatrico. Non ho saputo altro. Eppure al mattino mi mancano quelle urla, ma mi mancherebbe di più la doccia col tubo di gomma.

3 commenti:

  1. Sono partito dalla versione di Franca, cioè dal fatto avvenuto (il matto probabilmente… ricoverato). Avevo anche terminato la mia versione con tutti i vincoli e condizionamenti di quella precedente. Però, andando a rileggere gli altri contributi mi è piaciuto il finale di Daniela [simpatico e… umano (per i gusti maschili)], per cui ho ricominciato d’accapo.
    Come già detto in altro post, della seconda parte di Franca non ne ho tenuto conto perché non si inseriva nella ‘nostra’ storia. Ha un impatto col problema ecologico-ambientale e con la sicurezza del pianeta che se ne potrebbe scrivere un’altra di storia (mi permetto di suggerire un altro racconto manomesso, da costruire insieme), che stride con i personaggi, l’ambiente, i colori, il folklore della STRADA che è la protagonista del racconto anche se in compagnia di un personaggio come il folle e Cezar ch’è l’io narrante.

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  2. .... avevo scritto un post lunghissimo, ma lo ha cancellato al momento dell'invio ... uffff

    Aldo, non mi piace non aver ragione, ma quando ha ragione qualcun altro, lo ammetto!
    ... =)
    Il racconto funziona meglio così. Le due anime che emergono quella dei luighi e delle atmosfere e quella che racconta del "folle" Cezar sono finalmente in armonia

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